LA VIA GNOSTICA ALLA LIBERAZIONE

La Gnosi è veicolo e forma di redenzione

Solamente l’unione fra l’anima spirituale dello gnostico ed un Eone disceso dal Pleroma, potrà infrangere il ferreo potere delle potenze di questo mondo. Tale incantesimo traspare nella poesia del Vangelo di Filippo e imbeve tutta la scuola valentiniana fino ad impregnare la Pistis di Sophia con le sue Odi ed Inni. Nondimeno è estendibile all’interezza del panorama gnostico storico, dove l’anima spirituale è sovente rappresentata come una vita solitaria in un mondo ostile, oppure come una giovane preda di desideri illeciti e concupiscenti che agitano gli arconti. Solamente un intervento superiore può liberala dalla sua tragica condizione di schiava e di ricettacolo carnale e psichico; solamente l’intervento di quanto è posto oltre i limiti del mondo demiurgico può concederle l’eterna liberazione.  

“Tu che desideri la luce del Padre, mia sorella, mia sposa, mia Sophia, sei stata unta nel bagno di Cristo, con olio puro e immortale. Affrettati a guardare sopra i volti dei divini eoni, e vedrai l'angelo della grande Assemblea, il Vero Figlio. Adesso entra nella camera nuziale e ne sorgerai incorruttibile nella casa del Padre” (frammento) 

E’ questa l’unzione riservata ai sacerdoti e ai re, a cui indifferentemente potevano accedere uomini e donne retti nella conoscenza e nella fede del Dio prima di dio, votati al ritorno nella dimora dell’Essere ed a reintegrarsi nella Plenitudine del Pleroma. Purificazioni, contemplazioni, rituali e soprattutto preghiere costituivano il necessario cimento a cui l’uomo gnostico doveva sottoporsi per congiungersi con l’intelligenza spirituale, la propria controparte, discesa dal piano prossimo all’Essere. Tutto ciò traspare con forza nei componimenti che sono stati accolti in queste pagine e quanto a mio avviso risulta interessante, e sicuramente sarà evidente all’accorto lettore, è il diverso cesello di questa poetica in relazione alla comunità o scuola da cui è stata espressa. Vedremo come i componimenti afferenti la scuola alessandrina siano maggiormente rivolti ad una intellettiva e geometrica necessità di salvezza individuale, mentre quelli ascrivibili ai sistemi gnostici mediorientali (caratterizzati da un dualismo verticale) siano raccolti in un intimistico tessuto narrativo che investe l’intera creazione. Nei primi la Gnosi viene sì invocata ma è anche cercata attivamente e sovente conseguita attraverso rituali quali ad esempio la “Camera Nuziale”[1]. E’ l’uomo gnostico che prende solitaria coscienza della propria infausta condizione e giunto il messaggero – nelle sue varie forme – procede verso il viatico di redenzione. Gli scritti espressi da Mandei, Manichei e tardivamente dai Catari[2] sono rivolti all’universalità delle comunità, che assumevano forma e sostanza di chiese organizzate attorno ad un credo organico ed ad un complesso di rituali. Ecco quindi il loro incentrarsi su di una professione di fede nella Luce o nell’Essere; in una lamentazione, che è anche attesa dell’inevitabile liberazione collettiva. Eppure in entrambi i modelli sono sempre centrali similari figure e stilemi narrativi, quasi a disegnare un obbligatorio ed indispensabile processo formativo atto ad inseminare e risvegliare l’anima spirituale. Gli antichi gnostici elessero a mezzo espressivo la forma mitologica, essi comunicavano attraverso damascati tessuti immaginifici, cercando in tal modo di conseguire vari obiettivi: 

Il primo permetteva loro di veicolare un maggior numero di informazioni; prendiamo ad esempio l'immagine di una rosa, essa per sua stessa natura solletica i sensi, e attraverso i sensi la nostra capacità associativa. Quindi con una sola immagine vengono richiamati colore, forma, composizione, periodo dell'anno di fioritura ed una serie di sensazioni collegate ad ognuno di questi elementi.

Il secondo offriva uno scrigno simbolico a chi ne aveva la giusta chiave interpretativa; gli ambienti iniziatici hanno spesso elaborato una sorta di linguaggio riservato che non si fondava su una semplice crittografia del segno, bensì su una crittografia del senso. Pensiamo all'ermetismo dei testi alchemici, che pongono in profondo imbarazzo gli stessi studiosi di simbolismo o di alchimia moderna; così gli gnostici attraverso parole e frasi di apparente significato lineare, offrivano diversi livelli di lettura ai propri Fratelli.

Il terzo poneva a disposizione all'interno della comunità elementi simbolici, onirici, atavici, archetipali su cui lavorare tramite una progressione associativa del profondo; una sorta di estasi filosofica tramite la costruzione del pensiero ed il suo radicarsi in immagini, con cui sprofondare lentamente su un piano profondo e avulso dalle logiche del mondo sensibile.

 Per lo gnostico antico niente esisteva tranne il proprio spazio intimo o laboratorio interiore; e in tale ottica deve quindi essere inquadrata la comunicazione gnostica.  Essa raccoglie una serie di miti cosmici, di immagini dal forte impatto figurativo ed emotivo con cui intimamente solleticare la composita anima dell’interlocutore, permettendole di divenire una sorta di alambicco. In questa fucina alchemica interiore la memoria latente, il pensiero, i sentimenti e le emozioni si combinano e si fecondano gli uni con gli altri. Non siamo in presenza della sola capacità dell'anima di produrre il mito (mitopoiesi), ma della possibilità attraverso il Mythos di andare oltre gli angusti spazi dell’esperienza umana tratta dalle cose sensibili e dall’intelletto. La preghiera, il salmo e l’ode erano i vasi eccelsi, e finemente cesellati, in grado di raccogliere il Mito e di solleticare al contempo le più profonde corde dell’animo umano. Tale costrutto quindi non era certamente monumento alla mera ed impotente autocommiserazione e neppure retorico esercizio di prosa, ma viatico per poter accedere ad un particolare stato coscienziale, preludio per il ricevimento della Gnosi liberatrice. E’ essa una forma di conoscenza intimistica che si distingue dal pensiero logico razionale frutto della interazione con le cose sensibili, e trova fondamento in una rivelazione – individuale a seguito di una intuizione - che giunge da un piano “altro” rispetto al mondo delle cose. Questa Gnosi permette all'uomo di comprendere la vera natura del mondo (prima rivelazione) e del Dio prima di dio (seconda rivelazione). Essa implica necessariamente la coincidenza fra l’uomo che conosce, quanto è conosciuto e del mezzo per cui egli conosce. In altre parole, il conoscente è già divino, ma è dimentico di se stesso nel mondo materiale, e solamente la rivelazione gli permette di ricordarsi – e quindi di ripossedere – della propria natura pienamente spirituale. La quale è in sostanza “altro” rispetto all’interezza di questo mondo, aliena alle cose di questo mondo. E tale duplice condizione di altro ed alieno innescano la risalita dell’uomo gnostico lungo le varie sfere che compongono la creazione demiurgica (generalmente utilizzando parole di passo). Tale trascendenza lo conduce fino a quel piano posto attorno all’Essere, che è “altro ed alieno” rispetto alla labirintica creazione in cui la dimenticanza e l’errore avevano determinato la reclusione dell’anima spirituale. Questa rivelazione - nelle varie composizioni che cesellano i testi di questi argonauti dello spirito -  assume sembianze di sogno, di messaggero, di Perla e di chimerico istruttore. E’ una luce che irrompe sul piano quaternario, fendendo le tenebre dell’ignoranza e rettificando completamente colui che la riceve. Non di rado leggiamo nei testi di questa antica sapienza espressioni come sonno, inebriamento, veleno ed inganno. Esse sottolineano lo stato alterato di coscienza – e quindi di comprensione di se stessi e dello spazio circostante – in cui versa l’uomo: disperso fra gli accidenti, le contingenze e le necessità di questo caduco ed effimero mondo. Una condizione di incapacità che lo conduce a deformare quanto percepito, a credere nei costrutti dell’universo demiurgo: corrotto e corruttore; ingannevole e ingannatore. Ad esso si contrappone l’anima gnostica che ha compreso, che si è spogliata dei veli di ignoranza; un’anima oramai trasmutata grazie alla conoscenza che è forma e veicolo di redenzione.



[1] Elemento centrale del Vangelo di Filippo


[2] Di cui è riportato il rituale dell’Apareilementum



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