LA DANZA DELL'IMMAGINE GNOSTICA

La Gnosi è veicolo e forma di redenzione

Ho in precedenza accennato all’esistenza di immagini e stilemi narrativi ricorrenti nelle varie composizioni gnostiche e della loro funzione di inseminazione dell’anima spirituale, vediamo adesso di darne qualche chiarificazione in merito alla forma e al contenuto.

 

La prima di queste figure è il cibo inteso non tanto come alimentazione del corpo, quanto come nutrimento dell’anima. Le passioni, le emozioni, gli attaccamenti sono il cibo di questo mondo, attraverso cui gli Arconti inebriano l’uomo rendendolo dimentico della propria originaria condizione di emanazione pienamente spirituale

 

“Io dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano mandato. Per la pesantezza del loro cibo caddi in un sonno profondo”. (Inno della Perla)

 

L’uomo non vive di solo pane ebbe a dire il Cristo, lo gnostico perfetto, in quanto ampio è il nutrimento che egli riceve, e difformi sono la forma e la sostanza di simile nutrimento. Così come il cibo viene elaborato in sostanze biochimiche, così le impressioni che ricaviamo dal mondo esterno, dalle letture, dal pensiero altrui e dal nostro stesso modo di agire determinano la formazione di sostanze biochimiche che pervadono costantemente il nostro corpo e il nostro cervello. L’uomo, che rinuncia alla sua alimentazione spirituale e la sostituisce con il cibo di questo mondo, che rifiuta il retto pensare e il retto agire, percorre un circolo vizioso, che lentamente, ma inesorabilmente, lo avvelena. Esso - come fosse un liquido mortifero - pervade le membra, ogni lembo di tessuto e ogni involucro grossolano e sottile conducendo l’uomo ad uno stato di mortifera incoscienza, che lo riduce ad inconsapevole preda dei signori e delle potenze di questo mondo.

 

Han Jonas: “L'incoscienza è perciò una vera infezione portata dal veleno delle tenebre. Si tratta qui, come in tutto il gruppo delle metafore del sonno, non di un particolare mitologico, semplice episodio nella narrativa, ma di una caratteristica fondamentale dell'esistenza nel mondo alla quale si collega tutta l'attività redentiva della divinità extramondana. Il mondo da parte sua fa ogni sforzo per creare e mantenere tale stato nelle sue vittime e contrastare l'operazione di risveglio: il suo potere e persino la sua esistenza è in gioco.”

 

E’ attraverso l’inganno della carne, dei sensi, delle emozioni e di ogni altro meccanico dinamismo che gli arconti perpetuano il loro silente ma pervasivo potere sull’uomo. Ogni azione, ogni atto, ogni dinamica sociale o affettiva è strumento che conduce alla dimenticanza: una sorta di perenne autocastrazione coscienziale.

 

“Nella loro astuzia mi versarono una bevanda e mi diedero da gustare della loro carne. Dimenticai che ero figlio di re e servii il loro re. Dimenticai la Perla per la quale i miei genitori mi avevano inviato”. (“Inno della Perla”)

 

A contraltare, la funzione salvifica, ristoratrice e di antidoto al veleno psichico arcontico viene esercitata dalla conoscenza, la quale conduce alla rimembranza della propria origine. L’uomo si nutre di essa, e attraverso di essa rettifica quanto è grossolano, trasmutandolo in un nuovo corpo, in un nuovo tessuto, in nuovi sensi.

 

“Colui che così possiede conoscenza... [è come] una persona che, essendo stata inebriata, diventa sobria e tornata in sé stessa riafferma quello che è essenzialmente suo proprio” (E. V. 22, 13-20).

 

Essa assume sostanzialità: non più un sapere dialettico meramente empirico o scientifico, ma frutto di un’esperienza interiore unica ed irripetibile. Esperienza che si abbatte sulla struttura anima dell’uomo gnostico, disvelando non solo i misteri di questo mondo e dell’altro, ma determinandone un mutamento percettivo e cognitivo. Fino a giungere, in talune comunità gnostiche, a porre in essere il processo di risalita lungo le sfere celesti superiori e alla dimora del Padre. E’ un evento traumatico, in quanto rompe in modo irreparabile non solamente il tessuto spazio temporale (essendo extramondano e sovrasensibile), ma lo stesso insieme di valori e di necessità dell’uomo.

 

Altro tema ricorrente è la luce, intesa come conoscenza ma anche e soprattutto come rivelazione che fende le tenebre. La Luce non è solo, nello gnosticismo, espressione poetica ed allegorica della conoscenza interiore, essa rappresenta anche il mondo del Pleroma: la dimora di pienezza spirituale dagli Eoni. È questo intenso e palpitante bagliore che Adamo scorge per la prima volta nell’Eden. Dopo aver mangiato il frutto della Conoscenza, alzando lo sguardo al cielo, scopre l’esistenza imperitura di un piano superiore e che quello che credeva essere la massima espressione di beatitudine era solamente un’angusta ed ingannevole prigione.

 

“Come il loro rumore venne alle orecchie di Adamo, egli si svegliò dal suo sonno e alzò gli occhi al luogo della luce.” (G 126).

 

La luce come primo elemento sensibile dell’Essere, le cui emanazioni sono irradiate da vortici luminosi. Alzare gli occhi al cielo, distogliendo l’attenzione e l’attrazione dalle cose della terra, è un atto simbolico che ha come significato quello di non essere più sotto l’influenza del potere stordente ed ipnotico degli inganni demiurgici. Similare associazione fra regno celeste e luce la riscontriamo anche nel sistema iranico.

 

“Dal luogo della luce sono uscito, da te, abitazione luminosa. Vengo a esaminare i cuori, a misurare e provare tutte le menti, a vedere in quale cuore dimoro, in quale mente riposo. Chi pensa a me, io penso a lui; chi invoca il mio nome, io lo chiamo. Chi prega la mia preghiera da laggiù, io prego la sua preghiera dal luogo della luce... Sono venuto e ho trovato i cuori sinceri e credenti. Quando non dimoravo in mezzo ad essi, pure il mio nome era sulle loro labbra. Li ho presi e li ho guidati su nel mondo della luce” (G 389 s.)

 

Se il luogo della luce è il Pleroma, l’abitazione luminosa è la sfera o piano o cielo in cui ogni singola coppia di Eoni è stabilita. Questa iridescente geometria si contrappone al disordine tenebroso del mondo demiurgico; e se nella prima vi è piena comprensione, nel secondo tutto è distorto da tenebre ed ombre. Ancora nel sistema iranico troviamo la luce espressione di redenzione dall’ignoranza. Il messaggero inviato dal Dio della Luce libera gli uomini, in forza della trasmissione del suo insegnamento, dalla cecità indotta dalle tenebre. Questo messaggio assume la forma di una chiamata, di un suono che scuote e vibra dall’interno di ogni uomo devoto che si rende capace - attraverso la preghiera e la purificazione – di riceverlo.

 

“Una chiamata risuonò intorno a tutto il mondo, lo splendore[1] sparì da ogni città. Manda d'Hayye[2] si è rivelato a tutti i figli degli uomini e li ha redenti dalle tenebre nella luce” (G 182)

 

Quanto era prezioso e meritevole di essere posseduto o vissuto diviene senza valore a seguito della discesa di colui che è portatore della conoscenza – della luce – che libera, che apre gli occhi sulla evanescente ed effimera sostanze delle cose di questo mondo. L’uomo viene redento, liberato dal peccato indotto dalla propria condizione di radicale ignoranza, dalla forza della luce che ripercuotendosi nella sua composita strutturazione animica, lo conduce a “vedere pienamente” l’impermanenza e la caducità del costrutto carnale e psichico.

 

“Tu hai preso il tesoro di Vita e lo hai gettato nella terra senza valore. Tu hai preso il mondo di Vita e lo hai gettato nel mondo della mortalità” (G 362).

 

Altra fondamentale immagine concettuale è quella dell’estraneità, dell’essere straniero in questo mondo, dell’uomo spirituale. L’essenza dello gnosticismo è formalmente nichilista, in quanto intravede l’essenziale impermanenza e nullità di ogni costrutto naturale e umano. Ciò però non conduce l’uomo verso uno stato di abbandono, di relativismo morale e di annullamento di ogni volontà volta al fare e al credere. Egli semplicemente riorganizza la propria scala di valori e obiettivi, ponendo al vertice della medesima non il servizio e il darsi alle cose di questo mondo (siano esse umane o naturali), ma la propria liberazione dall’ordinamento demiurgico. Ecco quindi la pienezza di significato della condizione di estraneità: colui che non appartiene al luogo in cui si trova (il mondo demiurgico) in quanto per stirpe (spirituale e non carnale e psichica) aliena. Si errerebbe nel ritenere che l’essere straniero sia riferito solamente allo gnostico, perché così facendo relegheremmo tale “concetto” alla sola sfera fenomenologica o psicologica individuale: quasi fosse un disturbo della personalità o percettivo-cognitivo. In realtà vi è un proto straniero - il modello supremo - la cui individualità è unica e non è frutto di enucleazione dall’insieme o partizione arbitraria e difettevole da un’universalità; non è dettata da un disturbo percettivo-cognitivo; non scaturisce da un’errata lettura di sé; non è una fattuale condizione di estraneità rispetto a quanto precostituito e precedente al proprio tempo e alla propria generazione. Questo “Unico Tipo” è il Dio che è prima di dio; è il Protogenitore; è la radice del Pleroma; è colui che è estraneo (straniero) alla creazione, che è avvenuta non per sua volontà, non per un atto di amore, ma per l’errore della Sophia e l’arroganza del Demiurgo. Egli è straniero in quando non solamente la precede nel tempo e nello spazio, non solamente perché la sua dimora è posta oltre, non solamente perché i suoi usi e le sue tradizioni sono altre, ma perché è di unica e difforme sostanza: è la pienezza dello spirito, eguale in se stesso e per se stesso. In tale prospettiva l’essere stranieri, l’essere altro, assume una valenza ontologia e non più di semplice dimensione psicologica individuale, o storica culturale o fenomenologica.

 

“O quanto mi rallegrerò allora, io che sono ora afflitta e paurosa nell'abitazione dei malvagi! O quanto si rallegrerà il mio cuore fuori delle opere che ho fatto in questo mondo! Per quanto tempo sarò vagabonda e per quanto tempo affonderò in tutti i mondi?”

 

Abbiamo in precedenza visto come la rivelazione – che come un maglio poderoso si abbatte sulla composita struttura animica dello gnostico – può assumere forma di luce, di messaggio o di perla. Ovviamente non vi può essere un ricevere in assenza di un dare, ed altrettanto ovviamente non vi può essere un ricevente in assenza di un portatore: sia esso l’istruttore (il serpente ad esempio) o il messaggero (gli Eoni, gli Uthra).  Ecco quindi come il messaggero, all’interno di questo paradigma, è quel mediatore fra il piano coscienziale dell’uomo e quello dell’Essere; è colui che offre la possibilità di un cambiamento. Qualsiasi sia la forma che assume e il tempo in cui si disvela, il messaggero è l’elemento dinamico della benevolenza e della compassione del Padre del Pleroma o di una delle sue ipostasi maggiori (in genere la Barbelo) nei confronti dell’uomo pneumatico e della sua afflizione. Nei testi afferenti la corrente barbelognostica – che raccoglieva ad esempio i Naasseni e i Cainiti - il messaggero assume forma del serpente che istruisce Adamo ed Eva attorno alla vera natura del Dio Tetragrammatico, in altri erudisce della particolare missione che dovrà essere compiuta (come nell’Inno della Perla) ed in altri ancora consegna delle formule magiche o parole di potere con cui rompere il potere esercitato dalle emanazioni del Demiurgo. Nella Pistis di Sophia, il ruolo di sommo messaggero (πρεσβευτής) è esercitato da Jeu (primo uomo; rettificatore del mondo inferiore; vescovo della luce). Che egli abbia forma di Eone, di Angelo o di altra apparizione celeste il messaggero è colui che porta e dispensa la conoscenza (gnôsis) in un mondo arcontico impregnato di ignoranza. Egli giunge solamente quando l’uomo ha compreso la prima verità attorno alla natura di questo mondo e del suo creatore, in seguito quindi ad una profonda catarsi dove le maschere interiori ed esteriori crollano disgregando le forme e i nomi; lasciando intravedere l’orrido niente delle cose tutte o, se preferite, la loro assoluta impermanenza. È già questa un’opera titanica, un impietoso processo di purificazione e di rettificazione attraverso cui l'anima viene liberata dalle illusioni e dalle false credenze che la legano al mondo materiale. Solamente a seguito dello sgomento in cui versa l’anima, discende il messaggero in una delle sue varie forme e consegna non solo la verità altra sul Pleroma e sull’Essere, ma anche le indicazioni e gli strumenti per compiere quel necessario e periglioso viatico di trascendenza.   Ecco quindi, in definitiva, come l’irruzione del messaggero infrange un precedente equilibrio, l’ordinamento demiurgico, liberando una forza dinamica capace non solamente di creare mutamenti nella singola anima, ma anche in tutta la creazione carnale e psichica.

 

La non comprensione dell’unitarietà, oltre ogni stilema dialettico, di questi “miti” all’intero del tessuto comunicativo gnostico è inficiante della comprensione della dinamica liberatrice della Gnosi. La luce – che vedremo essere tema ricorrente nella Pistis di Sophia – non solamente è sommo attributo dell’Essere (“Oh Luce delle Luci”) e capacità cognitiva intima di ogni ente, ma è essa stessa messaggero che si infonde nelle tenebre arcontiche. Così come il messaggero è a sua volta luce, in quanto le sue parole e i suoi strumenti offrono la possibilità di portare chiarezza e verità laddove regna la tenebra e la bugia. A seguito di ciò ogni attore e convenuto, nell’epopea dell’anima gnostica, assume il ruolo di straniero sia rispetto alla sua precedente condizione e sia rispetto ad ogni altro astante. La luce è straniera in questo mondo demiurgico, l’anima gnostica consapevole è straniera nel mondo demiurgo e lo stesso messaggero è straniero nel mondo demiurgo. Al contempo è proprio l’irruzione del messaggero, dello straniero per eccellenza, che rende l’uomo pneumatico consapevole dell’esistenza della sua patria ancestrale; a cui segue il disconoscimento della propria appartenenza al seme della carne e il riconoscersi nella generazione degli Invisibili. È la comunicazione gnostica non tanto uno statico affresco di accadimenti, di quanto è e di quanto sarà, ma un dinamico sistema di pesi, cadenze e tempi in cui ogni figurante indossa più indumenti e svolge più ruoli. Solamente la comprensione di questo intreccio, sempre più ardito e profondo, potrà solleticare pienamente le corde di un’anima altrimenti dormiente nelle spire del dedalo delle illusioni. Potrà risvegliare quella memoria profonda, che trova radice in ciò che eravamo e in ciò che oramai non siamo, e permetterci di ricreare in noi stessi quell’occasione di intraprendere il viaggio oltre le costrizioni della materia, dello spazio e del tempo verso la dimora da cui proveniamo.

 

Tutto ciò, e molto altro ancora, detta le cadenze dell’epopea dell’anima gnostica: del suo drammatico risveglio, della sua dolorosa intuizione, della sua singolare rivelazione, della sua straziante nostalgia verso il Pleroma e del suo combattimento contro i dominatori lungo la via della trascendenza. Un’epopea che si rinnova in ogni uomo e in ogni tempo, dove gli attori indossano maschere diverse per poi alzare quell’amaro calice che è la Gnosi.



[1] Qui da intendersi come la gloria effimera che deriva dalle ricchezze e dai poteri di questo mondo.


[2] Nel mandeismo è un Angelo: 'Conoscenza della vita', o 'Conoscitore della vita''

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